LUIGI MENEGHELLI

Catalogo della mostra, Galleria Fontanella Borghese
LUIGI MENEGHELLI   |   Roma 1994
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Strutture elementari senza essere entità monolitiche, figure dell'ordine senza essere segni della tautologia, forme della ripetizione (della modularità) senza essere dichiarazioni di identità assoluta con se stesse. I lavori di Vinicio Momoli ricercano una loro costituzione plastica aperta, in cui convergono i molti saperi del fare: il senso della costruzione, i nessi formativi, la qualità delle materie, l'intervento esecutivo, è come se il "Minimalismo" (al quale l'opera dell'artista trevigiano è stato spesso relazionata) perdesse ogni nozione di impenetrabilità e di astrazione, per assumere quella di un fisicismo che attraversa piu' statuti disciplinari (la pittura, la scultura, il bassorilievo, l'oggetto d'uso improbabile). Certo, le forme sono invariabilmente essenziali, sono sagome di estrema distillazione dimensionale, ma proprio per questo non possono definire o addirittura risucchiare lo spazio (come invece fanno le strutture minimali).
Esse si pongono, al contrario, come indagine dello spazio, come ipotesi di misurazione dell'ambiente. Il fatto stesso dell'impiego iterato di patterns compositivi simili, dà l'idea di un discorso di espansione, di un continuo spostamento di confine, di un incessante attentato alla stabilità del luogo. Ma tutto, in Momoli, rimane fondamentalmente alla stadio indiziario, tutto è sempre allo studio: specialmente lo sono le varie figure geometriche, che sembrano presentarsi come una riflessione sul loro stesso costituirsi, sul loro stesso prendere forma.
E' cosi' che le materie impiegate (ferro, malta. rete metallica, colore) esibiscono la loro presenza fino al limite estremo della superficie; è cosi' che l'immagine pare sempre sorgere dal fondo, come una lontananza carpita dalla luce; è cosi' che anche la pura vicenda pittorica è evidenziata in tutta la sua portata gestuale, raccontata in tutto il suo gioco di stesure... Alla fine si arriva a pensare a un qualcosa sempre in attesa di precisarsi, a un lavoro che non sa risolversi tra volume e superficie, luce e ombra, pieno e vuoto. Senza soluzione definitiva, l'opera assume allora la facoltà non di rappresentare, ma di esistere dentro un concetto di "processualità": essa è un luogo provvisorio, anche se ha connotazioni ascetiche, è un corpo accidentato anche se ad alta fedeltà formale. Solo che quella vertigine di spazio che letteralmente la circuisce, la fa anche regredire ad uno stadio di archè della scultura: l'opera cioè diventa un fatto teorico, un pensare il proprio essere e il proprio abitare, un ideare figure che mettono in discussione se stesse e l'ambiente.

Così, se un Donald Judd puo' affermare che l'importante è "mantenere l'oggetto nella sua totalità", Momoli, a distanza, puo' affermare che a contare è la relazione delle parti, il comporre, il far interagire i materiali tra loro, ecc.: che, nel tutto, a contare è ogni elemento che lo costituisce, che lo ordina, che lo fa esistere. L'obbiettivo finale non poggia sulle forme della ragione, ma piuttosto sull'obbiettivo opposto, e cioè sulle ragioni della forma, che reclamano ogni possibilità di azzardo spaziale, ogni libertà di alterazione strutturale. Al punto che, a volte, il lavoro di Vinicio Momoli diventa una reale grandezza che si spezza tra il dentro e il fuori, tra il sè e l'ambiente.
Ed è un pò quello che accade negli oggetti-installazione, dove non è più in gioco solo la metaforicità delle materie, il loro riverbero poetico, ma anche un richiamo ad un'idea di ipotetica funzionalità. Si tratta di elementi che in apparenza hanno a che vedere con il design, con la progettazione di oggetti praticabili, ma che in realtà vengono spinti a un tale grado di complessità, di acrobazia, di paradosso, da caricarsi di qualità simboliche una volta appartenenti ai miti e alle favole.

E' un ulteriore modo per allargare la soglia della percezione, per aprire un nuovo rapporto con il mondo, per ridisegnare addirittura le misure stesse del vivere. Per Momoli forse può funzionare il noto aforisma di Malevicˇ: " il punto più alto dell'intelligenza, il più profondo, il più vasto, il più lontano è la rottura": è la forma definitiva che varca il limite dell'indefinito, la regola che procede verso la sregolatezza, la geometria che si fa metodo per la misurazione dei sogni.

Luigi Meneghelli
Catalogo della mostra, Galleria Fontanella Borghese,
Roma1994



LUIGI MENEGHELLI   |   Roma 1994