Omar Calabrese

Catalogo della mostra, Palazzo dell' UNESCO
Omar Calabrese   |   Espace "Picasso" - Parigi 1991
antologia_critiva di RENATO BARILLI catalogo_nexiture vinicio momoli

Va di moda, in quest'ultimo scorcio di anni, parlare di ''minimalismo''. Non nel senso della cosiddetta ''minimal art'' degli anni Sessanta- Settanta, ma in quello più recente sviluppatosi nella letteratura americana, con autori come Carver o McEwan. ''Mlnimalismo'', cosi, non è più la semplice ricerca di forme elementari materiali, la composizione, i colori, le figure, le geometrie), ma anche l'elaborazione narrativa a partire da programmi ''minimi'' (un minimalismo, insomma, di contenuto). Accenno a tutto questo perché le opere di Vinicio Momoli sono evidentemente ''minimaliste'' (non sono infatti certo io il primo a notarlo). E a questo punto vorrei avanzare la modesta proposta di intravedere in Momoli l'espressione di entrambi i significati di ''minimale''. Lo vedremo, tuttavia, fra un momento. Mi si consenta, invece, di aprire una parentesi sulle ragioni per cui in questa fine degli anni Ottanta-inizio anni Novanta il minimalismo si fa strada. Il fatto è che il decennio appena trascorso si è caratterizzato per una specie di ''ubriacatura'' per la complessità. Quello che molti hanno chiamato ''gusto postmoderno''o che io ho invece battezzato ''gusto neobarocco'' consisteva per l'appunto nella ricerca, spesso ironica, della complicazione dei modelli formali e di quelli narrativi dell'arte.

Il ricorso alla citazione, il ritorno dei figurativo, il piacere per le figure instabili e caotiche erano tutti tratti essenziali di quel gusto. Mi sembra evidente che oggi il panorama delle ricerche artistiche stia tornando a riflettere su ciò che possiamo definire "elementare'' in contrapposizione al "complesso'', sul ''semplice'' in contrapposizione all'elaborato'', sul ''puro'' in contrapposizzione al ''pastiche''. Il che è un fatto persino ovvio, se si pensa che il dogma della ricerca dell'originalità, sancito dalle avanguardie storiche, è diventato prassi corrente nelle arti, e obbliga a ripensare costantemente il fare artistico, per superare quell'obsolescenza che una ricerca obbligata dell'originale porta come conseguenza necessaria del consumo delle forme.

Momoli si inserisce dunque in una tendenza a riscoprire le forme, le figure, le composizioni, i materiali minimi dell'arte. Lo intravediamo nel rigore dei contrasti: il bianco e il nero sono i due colori dominanti, ed un eventuale cromatismo (le strisce rosse, ad esempio) si inserisce sempre come ''terzo incluso'' nella composizione. Quasi che i due colori contrapposti siano la base, il supporto della comunicazione, e il colore aggiunto funzioni per contrasto rispetto alla coppia principale. Si noti, del resto, che gli oggetti di Momoli sono genericamente definibili come ''sculture'' (termine altamente improprio al nostro caso, ma che comunque indica la loro tridimensionalità). Ora, la percezione tradizionale della scultura è assai ''incolore'': nel senso almeno che le sue manifestazioni il più delle volte non sono cromatizzate in senso pittorico,ma possiedono o il colore ''in natura'' dei suoi materiali, o la colorazione derivante da operazioni sui materiali (lucidatura, cromatura, graffiatura, offuscamento, eccetera eccetera). Mi sembra dunque che in Momoli ciò che è ''scolpito" entri in collusione o in combinazione con ciò che è ''dipinto''.

I suoi lavori pertanto narrano l'incontro o lo scontro fra due arti, al punto che si direbbe talvolta che nei suoi oggetti tridimensionali vi sia la memoria, sì, dello sperimentalismo scultoreo degli inizi dei secolo o del secondo dopoguerra, ma unita con quella delle avanguardie pittoriche come il suprematismo.
Malevicˇ e soprattutto El Lissitzky hanno incontrato l'art-brut, e ci si sono divertiti. Questa osservazione, tuttavia, rischia di diventare una cosa seria. Come si vede, infatti, nello sperimentalismo elementare di Momoli incominciamo a intravedere qualcosa di non puramente funzionalista e razionalista.
Vi abbiamo scoperto anche la citazione, il metalinguaggio, un'estetica di secondo grado e a questo punto dobbiamo riconoscere, dunque, che il suo minimalismo non è affatto una ripetizione di quello già trascorso, quanto una rivisitazione o una rilettura. Il che ci costringe a riflettere su un principio molto generale, e cioè che quando parliamo, come spesso accade nella vulgata della critica, di ''ritorni'', dovremmo stare molto attenti a quel che diciamo. Non esiste intatti un ritorno ''innocente". Tornare sul luogo del delitto lo si fa con una competenza dei passato e con un atteggiamento passionale del presente che si uniscono dando luogo a un prodotto assolutamente non ripetitivo. Insomma, non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, e tanto meno lo si può fare in arte.

Momoli è davvero un artista caratteristico di questa sofisticata attenzione ad un razionalismo vissuto però manieristicamente, cioè ad una ricerca di semplificazione del linguaggio artistico complicata dall'ammiccamento alla sue "maniere'' dei decenni scorsi. Ciò significa che quando oggi intravediamo lo svolgersi di vicende analoghe alla sua non dobbiamo parlare a cuor leggero di ''fine della postmodernità'', quanto di cambiamento nel gusto figurativo, mentre il gusto interiore, quello per la struttura artistica e i suoi significati resta ormai compromesso da quanto è avvenuto negli anni appena trascorsi. Ecco infatti il punto generale che mi preme segnalare prendendo spunto da Momoli: quando ci occupiamo di un artista o di una tendenza in corso, è bene non fermarsi mai alle etichette che di quell'artista o di quella tendenza prendono in carico l'aspetto di superficie, le figure appunto. Perché in realtà le etichette di questo tipo non dicono mai molto del singolo artefice, e spesso sono casuali e occasionali, quando non addirittura impertinenti, dato che oggi la maggior parte degli artisti tende a scegliere e produrre figure altamente individuali, un suo proprio idioletto.

Bisogna invece cogliere anche l'aspetto più interno delle opere, il loro adeguarsi ad una enciclopedia "lo spirito del tempo" e a un modo di teorizzare il significato stesso dell'intervento artistico. In questa ottica, potremmo dire allora che Momoli è un autorevole rappresentante di una tendenza in corso che rifiuta dal punto di vista figurativo il neo-mimetismo sviluppatosi negli ultimi anni, e va alla ricerca di un linguaggio sperimentale più astratto e più ''linguistico''. Dal punto di vista strutturale, invece, le sue opere continuano a tener conto di una vicenda di gusto ancora non esaurita, quella della riflessione dell'artista su se stesso e sul suo rapporto con il passato.

Omar Calabrese
Catalogo della mostra, Palazzo dell' UNESCO,
Espace "Picasso" - Parigi 1991



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